Di che cosa si parla quando si parla di antiriciclaggio? In che cosa consiste il reato di riciclaggio e i soggetti interessati [soggetti obbligati]
Per contrastare reati quali il favoreggiamento, la ricettazione, il reimpiego, il riciclaggio, l’autoriciclaggio, il trasferimento fraudolento di valori e altri ancora, nel corso degli anni sono state definite diverse normative, ancora oggi in continua evoluzione. Tra queste, per far fronte alle condotte di riciclaggio la legge italiana ha introdotto una speciale normativa: la normativa definita, appunto, di antiriciclaggio.
Riciclare denaro, beni ed altre utilità vuol dire investire capitali illecitamente ottenuti in attività lecite: in tal modo i beni che sono frutto di reato (sequestri, traffico di stupefacenti, rapine, evasione fiscale e qualsiasi altro reato non colposo) sono “ripuliti” e reimmessi nei circuiti economici e finanziari legali.
Nell’ordinamento italiano il riciclaggio è un reato previsto dall’articolo 648 bis del Codice Penale; compie tale reato sia “chi sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo” sia chi ostacola l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Ma di che cosa si parla quando si parla di riciclaggio?
Secondo il Codice Penale, il riciclaggio consiste nella sostituzione o nel trasferimento di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitti dolosi, ovvero nel compimento di altre operazioni che ostacolino l’identificazione della loro provenienza delittuosa
Il reato di riciclaggio, quindi, combatte l’impiego di denaro e capitali di provenienza illecita: perché si possa parlare di riciclaggio è necessario che il denaro (o gli altri beni) siano il frutto di un delitto doloso, cioè di un crimine.
In materia, la legge italiana ha introdotto una speciale normativa definita, appunto, di antiriciclaggio. Ha origine dall’azione repressiva (penale) e sfocia nell’attività di prevenzione che può essere attuata esclusivamente grazie all’impegno di determinati operatori nel settore soprattutto economico. Dunque non solo norme di diritto penale, ma anche norme di diritto civile e amministrativo; non solo sanzioni penali ma anche sanzioni amministrative.
Per far fronte alle condotte di riciclaggio la legge italiana ha introdotto una speciale normativa definita, appunto, di antiriciclaggio. Con antiriciclaggio (Anti Money Laundering) si intende l’azione di prevenzione e contrasto del riciclaggio di denaro, beni o altre utilità. Si riferisce alle attività che gli istituti finanziari svolgono per ottenere la conformità ai requisiti di legge e per monitorare attivamente, e segnalare, operazioni sospette.
In Italia la normativa antiriciclaggio si basa principalmente sul decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 che recepisce a sua volta la direttiva europea 2005/60/CE; il decreto ha introdotto nell’ordinamento nazionale una serie di adempimenti allo scopo di proteggere la stabilità e l’integrità del sistema economico e finanziario.
L’antiriciclaggio ha origine dall’azione repressiva (penale) e sfocia nell’attività di prevenzione che può essere attuata esclusivamente grazie all’impegno di determinati operatori nel settore soprattutto economico, come vedremo. Dunque, non solo norme di diritto penale ma anche norme di diritto civile e amministrativo sono deputate al contrasto di questo fenomeno; non solo sanzioni penali ma anche sanzioni amministrative.
Per fronteggiare in maniera ancora più incisiva il fenomeno del riciclaggio, da qualche anno il legislatore ha deciso di punire anche l’autoriciclaggio. Di cosa si tratta? Semplice: se il delitto di riciclaggio implica l’estraneità del suo autore al delitto dal quale il denaro (o gli altri beni da riciclare) proviene, l’autoriciclaggio è proprio tutto il contrario: punisce colui che compie l’attività tipica del riciclaggio sui beni tratti da delitti da lui stesso commessi.
Secondo il codice penale, si macchia del reato di autoriciclaggio chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto doloso, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
La normativa antiriciclaggio riguarda moltissime società e professionisti; i cosiddetti soggetti obbligati sono individuati dall’art. 3 del decreto, che li raggruppa nelle seguenti categorie. Per prima viene descritta la categoria degli intermediari bancari e finanziari, che include:
Al di là degli aspetti penali, l’antiriciclaggio coinvolge una serie di attività che devono poste in essere da professionisti (notai, avvocati, commercialisti, intermediari finanziari, ecc.) e istituti di credito, come le banche e le poste italiane. Vediamo quali sono i principali adempimenti stabiliti dalla legge.
Il decreto legislativo 231/07 impone obblighi di collaborazione per la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio; la collaborazione può essere di 2 tipi:
L’adeguata verifica della clientela è l’aspetto più importante per l’azione preventiva di contrasto al riciclaggio; essa consiste nell’identificazione del cliente e nella verifica dei dati acquisiti; l’identificazione e la verifica sono previste anche nei confronti del beneficiario sostanziale – il cosiddetto titolare effettivo – quando il cliente è una persona giuridica o effettua un’operazione per conto di altri soggetti.
Altri adempimenti riguardano la raccolta delle informazioni sullo scopo e la natura del rapporto posto in essere dal cliente e il controllo continuo nel corso del rapporto stesso.
Un terzo fondamentale adempimento riguarda la segnalazione, all’UIF, delle operazioni sospette di riciclaggio.
L’operazione sospetta è un’operazione che per caratteristiche, entità, natura o per qualsivoglia altra circostanza induce l’operatore in banca a “sapere, sospettare o ad avere motivo ragionevole per sospettare” che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo; in tal caso si deve inviare senza ritardo alla UIF una segnalazione.
Il sistema si incardina su tre istituti fondamentali:
Il criterio adottato è quello della “proporzionalità” degli assetti organizzativi rispetto alle dimensioni del soggetto destinatario delle disposizioni, intendendo con ciò assicurare la presenza di presidi idonei al raggiungimento del fine di prevenzione e tutela del sistema.
Sono, tuttavia, individuati dei requisiti minimali comunque da adottare:
Esiste un forte rapporto tra riciclaggio, evasione fiscale e corruzione: in sede GAFI è infatti in corso l’elaborazione di nuove “Raccomandazioni antiriciclaggio” che promuovono l’inclusione dei reati di natura fiscale tra quelli presupposto di riciclaggio. Il mancato pagamento dei tributi, infatti, è il principale strumento di accumulazione in nero della provvista necessaria per pagare il prezzo della corruzione.
Il partito degli evasori è molto potente e viene variamente blandito: si pensi allo smantellamento del falso in bilancio e alla continua erosione dei termini prescrizionali dell’azione penale. Leggi tributarie di difficile interpretazione incentivano comportamenti elusivi e alimentano un imponente contenzioso”.
Per quanto riguarda in particolare il flagello dell’evasione fiscale, Castaldi ha ricordato gli “effetti deleteri” che essa produce sull’economia dei singoli paesi poiché “riduce le risorse per le politiche sociali… si traduce in maggiori tasse per chi le paga… è la base della cosiddetta economia sommersa… sottrae risorse alla collettività, le nasconde (nei paradisi fiscali) quindi le rimette in circolo creando corruzione o, come minimo, falsando il mercato, la concorrenza, l’economia”.
Fra evasione fiscale e riciclaggio sussiste uno stretto rapporto. Lo conferma la circostanza che i due reati condividono in gran parte gli espedienti utilizzati, rispettivamente, per celare redditi al fisco e per dissimulare l’origine illecita del danaro: paradisi fiscali, trust, società fiduciarie, sovra e sotto fatturazioni, cessioni di crediti e cartolarizzazioni, operazioni di finanza strutturata, ecc. Parimenti, diversi strumenti di contrasto dell’evasione e del riciclaggio sono ambivalenti: limiti all’utilizzo del contante, tracciabilità delle transazioni, monitoraggio della circolazione transfrontaliera di contante.
La stessa limitazione antiriciclaggio in Italia non è posta all’uso di carta prepagata anonima ricaricabile. Se fornita di codice IBAN, la carta può essere movimentata come un vero e proprio conto corrente.
La legge antiriciclaggio ha introdotto, inoltre, dal 1° aprile 2019 l’obbligo di comunicare all’Uif (l’Unità di informazione finanziaria) le movimentazioni di denaro pari o superiori ai 10mila euro mensili, sia come prelievi sia come versamenti sul conto corrente.
Questo aspetto va approfondito, perché la legge impone a banche, a professionisti ed a chiunque intrattenga dei rapporti con queste due categorie una serie di obblighi in materia di identificazione del cliente, della conservazione dei documenti sul rapporto professionale con il cliente e di comunicazione di operazioni sospette.
Vediamo quali sono i limiti dell’uso dei contanti per l’antiriciclaggio ed i vincoli stabiliti dalla normativa.
Il limite dell’uso di contanti è stato confermato dalla Legge di Bilancio 2019. Per gli italiani resta la soglia di 2.999,99 euro fissata dalla Legge di Stabilità del 2016. Nulla è cambiato, dunque: dai 3.000 euro di spesa in su occorre fare un pagamento tracciabile, ossia tramite carta di credito, assegno o bonifico bancario o postale.
C’è, però, qualche eccezione. È quella che riguarda:
In questi casi, bisognerà riportare nel pagamento:
La UIF è la struttura nazionale incaricata di prevenire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.
La struttura esercita le proprie funzioni in autonomia e indipendenza, avvalendosi di risorse umane e di mezzi finanziari della Banca d’Italia.
Il d.lgs. 231/2007 assegna all’UIF il compito di:
La normativa antiriciclaggio approvata dal Governo Gentiloni nel 2017 ha introdotto alcune novità sull’uso dei contanti e sulla verifica di operazioni sospette di movimentazione di denaro a partire da una certa cifra.
La legge coinvolge in questa materia sia le banche e le società che gestiscono la moneta elettronica sia i professionisti: avvocati, commercialisti, notali, intermediari finanziari ed altro. Tutti sono obbligati a collaborare nella lotta al riciclaggio di denaro.
In particolare, i professionisti sono chiamati in causa quando si occupano di:
Che cosa devono fare? Devono segnalare eventuali operazioni sospette all’Uif, cioè all’Unità di informazione finanziaria per l’Italia o agli organismi di autoregolamentazione, che si occuperanno di comunicare all’Uif le segnalazioni ricevute senza precisare il nominativo di chi le ha fatte.
Lo stesso vale per le banche e per le società di moneta elettronica e di pagamento (carte di credito, Bancomat, ecc.).
La comunicazione è obbligatoria nel momento in cui il cliente degli istituti o dei professionisti fa dei prelievi o dei versamenti superiori ai 10mila euro in un mese, che sia tutti insieme o in modo frazionato prelevando o versando almeno 1.000 euro per volta.
La comunicazione all’Uif dovrà riportare:
Il riciclaggio di denaro è l’atto di reinvestire capitali accumulati in modo illegale tramite attività apparentemente lecite.
La normativa antiriciclaggio pone, a scopo preventivo la verifica della clientela, la quale è per l’appunto l’adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo da parte dei professionisti.
L’identificazione del cliente, obbligo già presente nel Decreto Legislativo n.56/2004, venne rafforzato dal D.Lgs n.231/2007 e con l’introduzione del Risk Based Approach, o Approccio Basato sul Rischio, della IV Direttiva, diventa sempre di più un passaggio fondamentale. Quest’ultimo specifica la necessità di regolare l’attività di verifica della clientela a seconda del rischio di riciclaggio associato al tipo di cliente o alla tipologia di operazione che verrà effettuata con il servizio.
Grazie alla nuova Direttiva Europea e alle modifiche del D.Lgs 231/07 effettuate dal D.Lgs 90/2017, sono chiare le nuove disposizione in materia di verifica del cliente e del titolare effettivo.
Il Decreto Legislativo 90/2017 rafforza il preesistente obbligo di identificazione del soggetto cliente: la valutazione segue un approccio denominato Know Your Customer (KYC), nel quale il professionista dovrà valutare il cliente secondo un criterio soggettivo e oggettivo.
Nel primo, dovrà essere esaminata la natura giuridica, l’attività svolta, l’area nella quale questa avviene e il comportamento generale tenuto al momento dell’operazione.
Nel secondo si esamina la prestazione professionale: tipo, modalità di svolgimento, l’ammontare e l’area geografica di destinazione, nonché la frequenza e il volume delle prestazioni nei confronti del cliente.
Gli obblighi di adeguata verifica, secondo la normativa, si verificano quando:
L’adeguata verifica della clientela viene effettuata dal professionista, dai collaboratori o da una società esterna di servizi.
L’identificazione della clientela va effettuata tramite documento di identità valido nel caso di presenza del cliente, mentre andrebbe verificata la presenza di un effettivo potere di rappresentanza qualora il cliente fosse una società o un ente.
I professionisti possono avvalersi, a tale scopo, dell’uso di pubblici registri, elenchi, atti e documenti contenenti informazioni sui titolari effettivi, oltre a chiederlo ai diretti interessati.
I professionisti dovranno poi effettuare un controllo costante del rapporto con il cliente attraverso l’aggiornamento dei dati acquisiti inizialmente nonché verificando la provenienza dei fondi e delle risorse del suddetto.
Gli obblighi di adeguata verifica si attuano perciò nei seguenti passaggi:
Sede Operativa: Viale Piave, 6
20129 Milano
Sede Legale: Via P. Amedeo, 50
70122 Bari
P.IVA. 08274420721
Cap. Soc. 10.000 i.v.
Tel: ( +39 ) 02.780372
Fax 02 76409282
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